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Sono nato a Milano nel 1968 e dopo essermi laureato a Pavia mi sono specializzato alla Bocconi. Mi sono sempre occupato di diritto del lavoro e di relazioni industriali, maturando esperienza presso una importante associazione imprenditoriale. La mia attività mi ha portato anche a ricoprire ruoli di ricercatore e docente presso Adapt-Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi” (Università di Modena e Reggio Emilia); inoltre sono stato project leader e coordinatore del gruppo di lavoro sulla Legge “Biagi” a supporto del Prof. Michele Tiraboschi. Attualmente svolgo funzioni di arbitro e conciliatore, oltre che of counsel di uno Studio Legale, e mi occupo di relazioni sindacali, pubblicistica e formazione. In parallelo con l'attività sul campo, e traendo spunto da questo, ho scritto varie pubblicazioni scientifiche, note e articoli. Collaboro, o ho collaborato, infatti con Il Sole 24 Ore, Avvenire, Ipsoa, Tempi. Per concludere, sono direttore generale di Afol Milano, Agenzia per la formazione, l’orientamento e il lavoro della Provincia di Milano.

Perché i cervelli fuggono

Pubblicato su 1 Novembre 2012 da luigideganweb in carriera, cervelli, cittadini, giovani, Lavoro, Paesi europei, scuola, servizi, tasse, Unioncamere, università

Luigi Degan

 

La scorsa settimana, l’Università dell’Insubria di Varese ha presentato una ricerca condotta da 30 studenti del corso di laurea in Scienze della comunicazione. Un questionario sottoposto ai cittadini di Varese ha approfondito il loro rapporto con le istituzioni: 327 le persone interpellate, di età fra i 20 e gli 80 anni, sentite quasi tutte le categorie sociali (studenti, impiegati, disoccupati, pensionati, artigiani, liberi professionisti, imprenditori, casalinghe, operai, commercianti). Dall’indagine risulta che, nell’attuale fase di crisi economica, la politica ha perso non solo credibilità, ma anche capacità di intervento. I cittadini mal sopportano la pesantezza delle tasse (83%) senza ricevere in cambio servizi adeguati e propongono tagli ai costi della politica (89%) nonchè un tetto massimo di due legislature per i parlamentari (77%). L’80% degli interpellati non vede nel breve periodo alcuna ripresa.

In realtà gli esperti sostengono che di crescita se ne riparlerà nel 2014, ci aspettano in buona sostanza altri due anni difficili. Malgrado il diffuso scetticismo sembra però affiorare l’anima positiva e costruttiva dei cittadini: quando si chiede loro se, in seguito alle restrizioni economiche, sono disposti a cambiare stile di vita: il 58% dichiara di averlo già fatto e l’85% sarebbe anche disposto a ridurre e selezionare i consumi.

E' la condizione giovanile a preoccupare maggiormente: 74 cittadini su 100 pensano che politica e società non siano in grado di proporre valide soluzioni per le nuove generazioni. E consiglierebbero a figli o amici di andare a lavorare all’estero (82% dei casi). Ma perché scegliere l'estero? Perché i cervelli italiani fuggono all’estero?

Premesso che i cervelli non sono solo coloro che ambiscono alla carriera scientifico-universitaria - i

cervelli sono anche nelle imprese - essi fuggono all’estero per condizioni assolutamente tipiche del mercato del lavoro italiano. L’accesso al mercato in Italia è infatti condizionato dal cosiddetto canale informale: l’ultima rilevazione di Unioncamere ci dice che l’85% di chi trova lavoro lo fa attraverso il passaparola; solo il 15% passa attraverso una selezione che può essere dell’azienda stessa che assume come di un’Agenzia per il lavoro. In molti Paesi europei, invece, il ruolo del soggetto orientatore e intermediatore è decisamente più autorevole e riconosciuto dalle parti, dalla domanda come dall’offerta di lavoro. Si pensi a Inghilterra, Germania, Francia, Austria e Danimarca, della cui flessicurezza si parla molto sui nostri giornali. Questo circuito poco virtuoso che anima il mercato del lavoro italiano scoraggia chi non ha una rete sociale forte: il “cervello” in questo caso potrebbe essere il figlio di un immigrato o di un onesto operaio che per tutta la vita ha fatto quello e che non ha conoscenze che potrebbero favorire il figlio.

D’altro canto, questo percorso poco specializzato penalizza le aziende stesse che in questo modo, dovendo competere in un mercato sempre più globale e complesso, non riescono a reperire risorse umane adeguate. Siamo, a questo punto, ancora convinti che i cervelli fuggano all'estero perché non ci sono fondi per la ricerca?

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